Leggendo un articolo che recentemente mi è stato segnalato, non ho potuto fare a meno di chiedere “lumi” al nostro amico Com.te Gianni Perrotta, al fine di ridimensionare, o meglio, dimensionare con meno allarmismi ciò che il Corriere.it ha pensato di sintetizzare nel titolo che segue:
Indagine statistica sui disastri aerei
Leggi l'articoloCredo che non basti rendere pubblici alcuni dati tratti da uno studio dell’autorevole Ente Federale Americano F.A.A. (Federal Aviation Administration ndr.) che si occupa di aerei, per completare un discorso così importante e difficile come quello cui si fa riferimento.
Alla serie di dati evidenziati ne mancano altri, ma prima di tutto sarebbe opportuno spiegare anche il significato di “portare un aereo” nel contesto odierno mondiale.
Cominciamo ad analizzare i dati in questione:
- Quarantasei incidenti e disastri (immagino che sia la traduzione di Incident e Accident, che hanno due significati ben distinti) hanno evidenziato che i piloti hanno difficoltà di gestione del volo manuale o nell’utilizzo degli automatismi.
- Non è dato di sapere in quale periodo questi incidenti siano avvenuti, un anno, dieci, venti; dove sono avvenuti, soltanto negli USA o anche nel resto del mondo?
- Nei casi di disastri (perdita del velivolo e/o vite umane) da quante ore i piloti erano in servizio? Nelle ore precedenti l’evento avevano rispettato un adeguato periodo di riposo?
- Le loro compagnie avevano introdotto, negli anni precedenti, delle sessioni di addestramento al simulatore per verificare la prontezza dei piloti nel recupero dagli “assetti inusuali”?
Non lo sappiamo. Gli altri dati sono ancora più nebulosi.
«Con questo nuovo modo di pilotare stiamo assistendo ad un nuovo genere di incidenti – ha spiegato Rory Kay, pilota e co-presidente della FAA – e ci stiamo dimenticando come si vola».
Bene, visto che l’FAA regola la vita aeronautica all’interno degli Stati Uniti, ma nello stesso tempo influisce sulle regolamentazioni anche a livello mondiale, ci dica cosa hanno intenzione di fare; ad esempio, hanno pensato di introdurre nei programmi di addestramento le manovre obbligatorie da sostenere ai simulatori per non dimenticarci come si vola? L’articolo non lo specifica.
Vediamo di fare chiarezza, per quanto mi è possibile scusandomi per l’immodestia.
I piloti delle compagnie aeree ricevono un addestramento ad hoc per condurre gli aerei sempre all’interno di precisi parametri e per questo vengono periodicamente controllati.
Durante i voli con passeggeri a bordo è escluso che i piloti possano simulare assetti inusuali ai fini del proprio addestramento e dunque non si vedranno mai, intenzionalmente, degli assetti ad esempio di 20° con il “muso” all’insù, a parte per la fase del decollo, così come, durante l’atterraggio, l’assetto non sarà mai oltre i 2-3° verso il terreno e via dicendo.
Al simulatore, durante i check, il pilota deve dimostrare di essere in grado di condurre l’aereo in sicurezza, con e senza gli automatismi; infatti, in caso di determinate avarie degli impianti di bordo, l’autopilota non funziona.
Nello specifico, inoltre, è bene chiarire che all’interno della cabina di pilotaggio i compiti sono suddivisi tra chi “porta” l’aereo (Pilot Flying – P.F.) e chi controlla (Pilot No-Flying – P.N.F.).
Il primo pilota ha l’obbligo di condurre il velivolo all’interno di alcuni parametri, a secondo della fase di volo; il secondo pilota controlla l’operato del primo e ha l’obbligo di comunicare a voce quando questi parametri vengono superati. È previsto inoltre, in estrema ipotesi, che il secondo pilota possa assumere i comandi del velivolo allorquando il P.F. non ottempera immediatamente, anche se comandante dell’aereo (Emergency Authority).
Più le condizioni di volo si fanno difficili, più occorre essere rispettosi nel seguire queste regole, soprattutto quando non ci si avvale dell’utilizzo dell’autopilota.
Nei disastri cui credo faccia riferimento la FAA, si è verificata la rottura di questo meccanismo e i velivoli si sono ritrovati in assetti di volo diversi da quelli previsti e, nei casi più drammatici, i piloti non sono stati in grado di riportare il velivolo in una traettoria di volo normale o hanno reagito tardivamente, quando ormai era impossibile governare l’aereo, confidando che la propria forza fisica fosse sufficiente a rimetterlo manualmente in linea di volo.
Certo è che generalmente la colpa ricade sui piloti, …facile! Erano loro a condurre l’aereo, ma perchè hanno sbagliato?
Tuttavia, esistono molti casi dove invece i piloti hanno recuperato felicemente alcune situazioni critiche.
Un’analisi seria ci deve rivelare perchè i primi hanno fallito e i secondi no.
Vorrei che il lettore non si facesse influenzare eccessivamente dalle affermazioni del giornalista che evidentemente ha rappresentato una realtà che risulta appartenere al passato.
Da alcuni anni infatti i responsabili del settore “addestramento” sono molto sensibili nel sottoporre i piloti a verifiche tecniche e operative relative alle “rimesse da assetti inusuali” (Upset Recovery), così come la corretta gestione della condotta manuale del velivolo.
Pubblicazioni e sessioni di addestramento al simulatore sono stati introdotti nei programmi della mia compagnia. Gli olandesi, nella loro scuola di volo, negli Stati Uniti addirittura hanno inserito un corso effettuato con velivoli acrobatici. Come dicevo, noi piloti siamo periodicamente sottoposti a test volti a verificare il nostro grado di pilotaggio manuale e di esempi ve ne sono a decine.
Tutto questo naturalmente non esclude il rischio di incidenti, è ovvio. La stanchezza gioca sempre un ruolo determinante; un pilota affronterà più prontamente una situazione di emergenza al primo volo della giornata, piuttosto che dopo dieci ore di servizio, ovvero ad esempio alla quarta tratta, in periodo invernale con nebbie e nevicate, o comunque in condizioni climatiche marginali.
Da qui, l’impossibilità di eludere ormai non solo l’utilizzo dei sempre più sofisticati sistemi automatici, ma anche di provvedere con costanza all’addestramento dei piloti su simulatori di volo con l’obiettivo di ripristinare gli ottimali livelli di interazione uomo-macchina, con lo scopo finale di mantenere qualitativamente alta la qualità dell’addestramento a vantaggio della “sicurezza del volo”. (Si potrebbe aprire una discussione di quanto certi sistemi siano di facile interpretazione in certe condizioni, ma fermiamoci qui).
Per quanto riguarda l’addestramento, la domanda da porsi è fino a che punto si possa permettere a talune compagnie aeree di risparmiare? Non sta a me rispondere.
Concludendo, ritorno all’articolo “Un compito che a quanto pare ormai pochi comandanti sarebbero in grado di fare davvero, vista la loro totale fiducia nei computer di bordo”. In Italia leggo spesso questo genere di articoli sostanzialmente superficiali, mentre non vengono mai pubblicati eventi come quello occorso, ad esempio, all’MD11 che è atterrato a New York con parte dei comandi di volo bloccati. L’aereo aveva l’unica possibilità di salire e scendere, ma non virare tradizionalmente con l’utilizzo degli alettoni. L’episodio dimostra che, oltre alla preparazione personale, una buona parte dei piloti è in grado di volare “alla vecchia maniera”. I giornali americani hanno dato tutt’altro risalto.
Un grande saluto a tutti voi, ringrazio l’amico Giorgio per avermi dato l’opportunità di scrivere; certo, l’argomento avrebbe bisogno di molto più spazio, ma mi auguro di aver contribuito a fare un po’ di chiarezza.
Gianni Perrotta
- Ufficiale Pilota presso l’Aeronautica Militare Italiana, abilitato su SF260 – MB339 – G91T – F104.
- Un anno in servizio presso una compagnia Charter, abilitato su B757.
- Dal 1992 in Alitalia, abilitato su MD80 – B767 – A320.
- All’attivo oltre 13.500 ore di volo.